#MFF24: We Are Little Zombies di Makoto Nagahisa – Recensione

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Sappiamo benissimo quanta inventiva ha da offrirci il cinema orientale, sopratutto se ci soffermiamo su alcune pellicole che negli scorsi anni si sono fatte valere e notare per la loro straordinaria originalità. Un esempio fulgido, sotto gli occhi di tutti è sicuramente il meraviglioso Tokio Tribe di Sion Sono, un musical dalle tinte hip-hop che ha acquisito ancora più valore grazie anche alla poetica del regista stesso, diventando sin da subito un vero e proprio cult. Tuttavia, dispiace dirlo, abbiamo anche assistito a soggetti dal potenziale enorme, ma che purtroppo, risultano vittima di uno script decisamente imperfetto. Tra questi, non possiamo non menzionare We Are Little Zombies, presentato in questi giorni al Milano Film Festival, di Makoto Nagahisa, compositore musicale alle prese con la sua prima opera cinematografica. La storia narra l’incontro fortuito di quattro orfani – Hikari, Tekamura, Ishi e Ikuko – il giorno della cremazione dei loro genitori. Visto con gli occhi dei protagonisti, in un caleidoscopio di stili in cui quasi nessuna scena è girata allo stesso modo, il mondo è insensato: né speranza, né sogni, né tristezza. I ragazzi decidono di unire le forze, mettere in piedi una band, e andare alla ricerca delle loro emozioni perdute.

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Assistendo alla prima mezz’ora del film, lo spettatore si trova a davanti a un turbinio di emozioni contrastanti, complice anche un introduzione davvero particolare dei protagonisti, attraverso una messa in scena palesemente video-ludica e di gran effetto. Dove sbaglia allora We Are Little Zombies? Lo script non fa altro che attingere a pieni mani da prodotti cinematografici del passato, in particolare Scott Pilgrim vs The World e Sing Street, e il suo essere tremendamente ambizioso risulta essere il vero problema di questa storia. Tutto il lavoro geniale costruito nella prima parte viene soffocato da un eccesso di stile fin troppo forzato, che con un ingenuità tipica delle prime pellicole non riesce a restituire quel qualcosa in più. Nagahisa mette in mostra il disagio e l’isolamento dei protagonisti facendo leva su dei dialoghi fin troppo caricaturali, che a lungo andare sono in grado di annoiare anche lo spettatore meno esigente. Nonostante tutto, la sceneggiatura riesce a regalare anche dei siparietti incredibilmente divertenti, che in alcuni momenti – unita anche a una buona componente visiva – allestiscono uno spettacolo degno di essere menzionato. In definitiva una visione imperfetta, ingenua e che mette in mostra il talento visivo di un regista da tenere sicuramente d’occhio, sopratutto se pensiamo a quella prima parte, che seppur trascurata in alcuni frangenti, riesce a trasmettere emozioni davvero uniche.

Scritta da Simone Martinelli

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