Los Colonos, la recensione

L’esordio al lungometraggio di Felipe Gálvez Haberle, regista cileno classe ’83, si unisce a quella serie di film di recente uscita – tra cui Killers of The Flowers Moon di Martin Scorsese e La terra promessa di Nikolaj Arcel – che si propongono di affrontare con sguardo critico la storia della propria terra. Dopo il racconto americano di Scorsese e quello danese di Arcel, ecco arrivare Los Colonos, ambientato in Cile a inizio novecento. Il meticcio cileno Segundo (Camilo Arancibia), il tenente britannico Alexander MacLennan (Mark Stanley) e il mercenario statunitense Bill (Benjamin Westfall) vengono assunti dal ricco proprietario terriero José Menéndez (Alfredo Castro) e intraprendono una spedizione per delimitare il vasto territorio di suo possesso. A rimetterci sarà la popolazione indigena.Il film di Gálvez – che era stato selezionato per rappresentare il Cile ai Premi Oscar 2024 – è un interessante gioco tra il film di genere e il film d’autore, abitudine di una serie di registi che esordiscono con pellicole scritte e dirette con la maturità dei veterani, saggi e sensibili verso i personaggi e le storie che vogliono raccontare. Diviso in capitoli, Los Colonos ha l’estetica e il mood di un western, e la tensione è quella di un thriller. Ma l’intento del suo autore è quello di fare un discorso politico sull’orrore del colonialismo, e su come dietro un paese e la sua storia spesso ci siano una serie di violenze gratuite, e il vasto territorio incontaminato probabilmente è macchiato del sangue di chi da innocente è stato privato della propria terra e massacrato per l’avidità di qualche potente.

Girato nella Terra del Fuoco, il film è pieno di inquadrature (spesso campi lunghissimi) mozzafiato, in grado di lasciare lo spettatore col fiato sospeso e gli occhi spalancati, impedendogli di sbattere le palpebre per evitare di perdersi anche solo un fotogramma. La fotografia è dell’italiano Simone D’Arcangelo, il quale aveva già lavorato per Re Granchio (2021), film che presentava un’immagine ad olio molto simile a quella di Los Colonos. Inutile dire quanto faccia godere questo tipo di estetica per la sua pura bellezza da quadro romantico rasente il sublime. C’è un lavoro di sound design notevole per l’utilizzo dei suoni naturali mescolati alla colonna sonora minimale (in questo piena di rimandi a Morricone nei western di Sergio Leone) che accompagnano le gesta dei personaggi – interpretati magnificamente da attori in stato di grazia – e ne commentano lo stato emozionale. Los Colonos è un film dai ritmi dilatati. Nella prima parte spesso sono i silenzi a creare tensione fra i personaggi. Ma quando alla fine viene presentato uno sbalzo temporale di sette anni dal massacro, e la macchina da presa si sposta dagli esterni delle praterie incontaminate agli interni dei palazzi del potere, sono le parole a diventare macigni pesanti. Con una serie di dialoghi intensi e taglienti capiamo che l’intento di Menéndez è quello di riappacificarsi con gli indios, dopo esserci lavato le mani delle violenze che i militari hanno compiuto per ordine suo. Con questo finale, se vogliamo ancora più crudo, nonostante caratterizzato da soli dialoghi, Gálvez invita alla presa di coscienza collettiva, alla consapevolezza del proprio passato; invita a ricordare e a stampare nella memoria la storia insanguinata di un popolo.

L’indifferenza dei nativi verso coloro che li hanno tolto tutto è incarnata da Segundo, indios scelto per la missione date le sue doti al fucile, che per quanto nutra disprezzo verso i suoi compagni di viaggio, non reagisce mai veramente agli ordini impartitigli da questi ultimi; non si ribella e resta complice delle deplorevoli azioni che porteranno alla devastazione del suo stesso popolo. In questo il titolo del capitolo finale “La fine del mondo” è profetico nel suo esprimere con un certo nichilismo l’abbandono di chi ormai non può più cambiare la storia, ma può solo provare a resistere, esattamente come nella scena finale, in cui con un semplice gesto è possibile manifestare resistenza verso un passato che non può ripetersi.

Il film è disponibile sulla piattaforma streaming MUBI.

Classificazione: 3.5 su 5.

Scritto da Marco Nassisi

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