Infinity Pool, la recensione

James Foster (Alexander Skarsgård) spera di trovare l’ispirazione per il suo secondo romanzo nel resort all-inclusive di Li Tolqa con la moglie Em (Cleopatra Coleman). La coppia finisce per oziare in piscina e godersi le comodità del resort, questo fino a quando non incontra Gabi (Mia Goth), una grande fan dell’unico romanzo di James. Gabi e suo marito Alban (Jalil Lespert) attirano James ed Em in una gita al di là delle recinzioni di filo spinato del complesso e, durante il tragitto di ritorno, provocano un tragico incidente che lascia James alla mercé delle autorità. La punizione è rapida e severa, ma la scappatoia che permette a James di essere libero dà inizio a un ciclo di violenza e dissolutezza. Cronenberg dipinge un ritratto schietto dell’entitlement americano, in cui il sole splende sempre di più su coloro che possono comprare la loro via d’uscita. Una volta che James si è ingraziato un gruppo di turisti amanti del brivido che hanno subito la stessa punizione/procedura, il film entra in una spirale di azioni estreme: i turisti rubano maschere tribali, assumono droghe locali (dando vita a una delle più grandi orge allucinatorie degli ultimi anni) e in generale cooptano la cultura – e i suoi abitanti – per i propri fini depravati.

Questo fa pensare alla spettacolarizzazione dell’atrocità nella società moderna. Che si tratti di un criminale dal colletto bianco che ha truffato cittadini ingenui o qualcuno che apre il fuoco in un luogo pubblico, è quasi garantito che ogni processo sarà un circo mediatico che porterà a poche – o nessuna – conseguenza a lungo termine. È tutto spettacolo, sfruttato per gli ascolti. È in questo atto di testimoniare un tipo di orrore disumanizzato che Infinity Pool si allinea a Videodrome di papà Cronenberg. Non diversamente da Max Renn, James passa dallo shock iniziale all’indulgenza, fino alla vera e propria dipendenza dal brivido. Rimosso dalle restrizioni della legge americana, il mondo diventa un parco giochi di edonismo e brutalità. Allo stesso modo, James – che diventa sempre più egocentrico e ribelle man mano che il film procede – è talmente preso dall’accettazione del gruppo di turisti da non rendersi conto che sta solo vendendo la sua persona per i loro capricci illegali e perversi. A differenza di Renn, non prende mai il controllo della situazione, rimanendo per tutto il tempo un seguace del gregge.

Non c’è nessun “long live the new flesh” qui, ma solo il senso di sé di un uomo che viene risucchiato in un buco nero di conformità e violenza.

Classificazione: 3 su 5.

Scritta da Corrado Agnello

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