Ritorno a Seoul, la recensione

“Il giorno del mio compleanno mi faccio sempre la stessa domanda. Mia madre, da qualche parte, starà pensando a me?”. Quante persone si sono sentite come Freddie? Quante persone si sono perse completamente nel mondo alla ricerca della propria identità? Davy Chou, regista franco-cambogiano, debutta nelle sale italiane con un’opera riflessiva e minimale, capace di nascondere al suo interno una carica elevata di emozioni senza mai scadere nella banalità. Eppure le opere che trattano questo tipo di temi sono molteplici, ma ciò che colpisce al primo impatto è la sensazione di trovarsi davanti a una storia che non ha bisogno di fornirti un finale a lieto fine per analizzare una situazione che ne avrebbe tutto il bisogno. Il regista si concentra principalmente sul rendere assodato tutto ciò che si presenta davanti ai nostri occhi e la caratterizzazione della protagonista ne è un fulgido esempio. La trama ruota attorno a una donna di origini coreane e di nome Freddie. Una figura scomoda, egoista, che in tenera età è stata adottata da una famiglia francese imparando così la lingua e le sue usanze. A distanza di venticinque anni, il senso di appartenenza e di abbandono iniziano a farsi sentire. Con la possibilità di poter cambiare il suo viaggio da Tokio a Seoul, la donna coglierà l’occasione per intraprendere un viaggio personale e che le permetterà di riflettere sulle proprie radici. Il film è uscito nelle sale italiane l’undici maggio ed è ora disponibile sulla piattaforma streaming MUBI.

Ispirata alla storia di un’amica del regista, Ritorno a Seoul riflette e analizza i sentimenti che stanno dietro ad una mancanza, quelli che il più delle volte risultano invisibili ad occhio nudo. Davy Chou è abile nel rappresentare un disagio famigliare attraverso sguardi e parole che non riescono mai a venir fuori. La macchina da presa – dall’inizio alla fine – rimane incollata addosso alla protagonista, che qui è interpretata da un’ottima ed esordiente Ji-Min Park, attrice di cui sicuramente sentiremo ancora parlare. Accompagnato da un ritmo lento, ma al tempo stesso ipnotico, la pellicola si focalizza su passato, presente e futuro di Freddie, sviscerando tutte le caratteristiche del suo comportamento distruttivo. Una donna che non ha paura di chiedere una seconda o terza bottiglia di Vodka, di conoscere gente nuova o di fidarsi del primo sconosciuto che le si presenta davanti. I sentimenti sono ridotti, ma raccontati con un occhio raffinato e delicato. Il film è una co-produzione francese, in collaborazione con la Germania e il Qatar, ma ha lo stampo narrativo degno dei miglior film orientali. Non a caso ricorda film come Millenium Mambo di Hou Hsiao-hsien, dove la mancanza di un vero e proprio posto nel mondo veniva prepotentemente a galla. Anche qui il film respira grazie all’espressività potente della sua attrice principale, capace di catturare anche lo spettatore più esigente, e ad una colonna sonora graffiante ed intensa.

Ritorno a Seoul è una visione che non dovete lasciarvi sfuggire. Uno di quei film passati in sordina, ma che per regia e interpretazioni valgono assolutamente il prezzo del biglietto. Nel mentre, non vediamo l’ora di assistere alla prossima opera di questo regista.

Classificazione: 4 su 5.

Scritta da Simone Martinelli

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